domenica 15 maggio 2011
Scontri tra copti e musulmani: l’Egitto ci ricasca
Nonostante in piazza Tahrir venerdì scorso si sia riversata una folla auspicante l’unità nazionale e il superamento delle divisioni di fede, tali episodi minacciano sempre più frequentemente l’affermarsi di un stato equo e democratico, quale invocato a gran voce dagli artefici della rivoluzione nelle calde giornate di fine gennaio.
Che la tensione tra gruppi di diversa matrice religiosa fosse palpabile anche sotto il regime di Moubarak è un dato di fatto. Nel nuovo Egitto, tuttavia, ciò sembra portare con maggior rapidità a conflitti dagli esiti preoccupanti. Le ragioni non stanno solo nella lentezza di reazione della polizia, gli scontri sono anche e soprattutto legati alle diverse identità di coloro che hanno lottato per rovesciare il regime.
Se tra le file dei rivoluzionari c’erano membri dei Fratelli musulmani (quegli stessi che bloccavano la lotta al richiamo del muezzin e che il 30 aprile, dopo un lungo periodo di emarginazione politica, hanno creato un partito per concorrere alle legislative di settembre) altrettanto attiva e consistente era la presenza di quei gruppi di sinistra -quali ad esempio il Movimento 6 Aprile- sviluppatisi di nascosto a causa della repressione. C’era pieno accordo sulla necessità di porre fine al regime del dittatore ed inaugurare una nuova fase per la politica egiziana, non sembra esserci una strategia altrettanto condivisa per realizzare quanto auspicato. Così, se da un lato gruppi laicisti e progressisti sono scesi in piazza per reclamare lo stato di diritto, altri faticano a slegarsi dalla vecchia concezione dell’attivismo civico e della partecipazione politica basati sull’appartenenza religiosa. Cosa che in un regime corrotto come quello di Moubarak ha dato adito a fenomeni d’intolleranza e disuguaglianza.
La democratizzazione dell'Egitto non deve fare i conti solo con le crescenti difficoltà economiche del paese, quanto anche con le contraddizioni del popolo egiziano e la varietà di rivendicazioni avanzate dai gruppi che hanno attivamente partecipato alla rivoluzione. Un ordinamento egualitario e democratico, infatti, non può esistere escludendo ampie fette della società dal gioco politico o non garantire ad ognuna pari possibilità di espressione ed azione.
Certo, una rivoluzione è solo l’incipit di un processo di ridefinizione di equilibri che a volte può richiedere lungo tempo. Ci auguriamo solo che i risultati finora ottenuti dalla primavera araba non si disperdano col primo temporale.
mercoledì 4 maggio 2011
Accordo raggiunto tra Gaza e Ramallah, festeggiamenti al Cairo e nei Territori
La cerimonia sarebbe stata anticipata da un incontro tra Abu Mazen, presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Khaled Meshal, capo in esilio di Hamas, Mourad Moufi mediatore e capo dell’intelligence egiziana, Amr Mussa, segretario della Lega Araba, Nabil Al Arabi, ministro degli Esteri egiziano, il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu e quello del Qatar Hamad bin Jassem al Thani, più i segretari generali delle altre fazioni sottoscriventi l’accordo. Presente alla cerimonia anche l’emissario Onu per il Medio Oriente, Robert Serry.
Nonostante la volontà espressa da Abu Mazen di superare le divisioni al fine di ottenere una pace senza compromessi (Israele scelga fra la colonizzazione e la pace, ha dichiarato infatti il presidente dell’Anp), il quotidiano israeliano Haaretz avrebbe diffuso la notizia secondo la quale lo stesso Abu Mazen avrebbe insistito per vedersi riconoscere la leadership del governo di transizione, assicurandosi in tal modo una posizione di spicco nella politica estera palestinese.
Dura è ad ogni modo la condanna di Netanyahu nei confronti del leader dell’Anp per aver deciso di trattare con Hamas. Il governo israeliano ha per questo motivo deciso di congelare i proventi dei diritti doganali palestinesi, al fine di evitare entrino nelle casse del movimento di Gaza. A questo proposito è intercorsa una conversazione telefonica tra il primo ministro palestinese Salam Fayyad e il segretario di Stato americano Hillary Clinton, durante la quale si è avuto modo d’accertare la continuità degli aiuti americani alle autorità palestinesi, ha dichiarato il Dipartimento di Stato USA.